giovedì 20 dicembre 2012

Fiona e le altre

Mi spiace ma non riesco proprio ad essere in accordo con il contenuto dell’ormai famosa lettera del maestro bocciato ai suoi allievi.

L’effetto immediato che mi ha suscitato è stato quello di trovarmi di fronte all’ennesima prova di eccellenza nello sport nazionale della lamentazione.
Rileggendola non ho potuto che constatare che fosse intrisa di italici buoni sentimenti, luoghi comuni e imprecisioni a larghe manciate.

Non nego che lo sfogo del maestro contenga anche parti di verità importanti e spunti  interessanti  ma da qui a fare di questa lettera un manifesto del profilo del bravo insegnante no.

Posso comprendere e accogliere umanamente l’amarezza di chi già si trova da anni nella scuola pubblica come precario e non vorrebbe vedersi soffiare il posto fisso da qualcuno che ad oggi non ha mai insegnato, tuttavia questa scelta fatta dal Ministero si potrebbe approfondire per poi magari  reputarla valida oppure continuare a non approvarla. 
E se, per dirne una, ai fini di un insegnamento orientato (anche) all'inserimento nel mondo del lavoro avesse un valore (o comunque non fosse un disvalore) l'esperienza lavorativa maturata dal docente al di fuori della scuola? In ogni caso non trovo giusto dare per scontato che tutto ciò che viene deciso “nei palazzi” sia aprioristicamente errato, irrazionale o frutto di malafede.

Quello che però più di tutto non accetto è che chi dice di avere a cuore la scuola (una scuola non nozionistica ma capace di aprire la mente al ragionamento e alla flessibilità) sostenga che un docente, qualsiasi sia la materia che aspira ad insegnare, possa permettersi di essere una persona incapace di svolgere semplici ragionamenti logico deduttivi.

Non ci vuole, infatti,  una mente superiore per comprendere che in riferimento alla domanda che il bravo maestro ha ridicolizzato, tre delle frasi proposte come possibile risposta non si possono dedurre neanche lontanamente dal testo della domanda (quindi sarebbe addirittura stato sufficiente ragionare per esclusione) e, se proprio vogliamo esagerare, penso che una persona di media intelligenza e cultura possa sapere che quando a Roma sono le 9 del mattino New York è ancora al buio e lo sarà ancora per qualche oretta. 

Le domande inoltre non erano due o tre: erano 50 e se il maestro è stato bocciato deve essere rimasto smarrito non solo di fronte a Pamela, Fiona e Gina. Tra l’altro tutte le domande da cui poi il software ha pescato casualmente il giorno della prova erano state messe a disposizione dei partecipanti con largo anticipo per potersi esercitare e permettere a ciascuno di approfondire eventuali punti di debolezza.

Nella lettera si arriva addirittura a contestare l’utilizzo del computer che valuta al posto di una persona quando, per il tipo di prova di cui si sta parlando, non esiste mezzo più sicuro e obiettivo di un computer, peraltro senza postazioni predefinite ma casuali a ridurre all’osso le possibilità di 'inciucio'.
Qualcosa mi dice che se, contrariamente a quanto è stato, a valutare questa prova ci fosse stato un essere umano, il Mr. Protesta che sonnecchia in ognuno di noi avrebbe affermato che l’opinione di un tizio qualsiasi è discutibile e influenzata da una serie di cose che vanno oltre la semplice preparazione del candidato (es. antipatia dermatologica, nervosismi contingenti per cause familiari, disturbi intestinali e così via.).

Del resto nessuno, per come è stata concepita la prova, pretendeva che la stessa misurasse competenze tecniche o capacità didattiche. Dica lo scrivente maestro dove ha tratto questa informazione. Per questo scopo ci sono le prove successive, tra l’altro strutturate in modo piuttosto articolato proprio a garantire la valutazione della capacità di insegnamento in senso ampio (mi riferisco ad es. alla simulazione di lezione che si aggiunge al normale esame orale).

Tutta la passione e la fantasia di cui questo insegnante e moltissimi altri suoi colleghi dispongono è elemento fondamentale e preziosissimo ai fini della costruzione di una buona scuola, è “sale” per gli studenti e merita tutta la nostra gratitudine e sostegno ma non può prescindere da competenza e attitudine al ragionamento. Siamo tutti sicuri che non avremmo nulla da ridire se nostro figlio avesse come professore un signore che sembra vantarsi di non sapere dove sorge il sole?

mercoledì 20 giugno 2012

Professione: reporter


Dagli Usa la nuova tendenza per i neo genitori di regalarsi un vero e proprio book fotografico professionale che dall’attesa ripercorre i momenti salienti della vita nascente (ecografie incluse) fino a ritrarre nonni e amici dai volti tesi nella sala d’aspetto dell’ospedale per arrivare poi fin dentro la sala parto e non farsi mancare di immortalare la gestante nelle più dolorose fasi del travaglio.

Molti di noi leggendo la notizia avranno pensato alla solita “americanata” e forse l’ho pensato anche io. Effettivamente, qualcuno può forse affermare che avere la foto della propria madre ritratta nella fase della massima dilatazione uterina avrebbe aggiunto qualcosa alla ricostruzione della propria identità personale?  Credo proprio di no. Eppure sono convinta che ben presto abbracceremo anche in Italia questa morbosa abitudine visto che, a pensarci bene, siamo già sulla buona strada.

Complici forse anche i social network, che ci hanno abituato a collocarci in una vetrina perpetua, sembra che siamo tutti più impegnati a mostrarci e a mostrare che a vivere, continuamente  alla ricerca delle “pezze d’appoggio” per attestare di aver fatto cose e percorso le tappe cruciali della nostra vita.

Basti pensare al comportamento della maggior parte di noi genitori alle recite di fine anno dei nostri figli: quello che dovrebbe essere un piccolo teatrino di una scuola elementare, in cui ciascuno potrebbe contattare la commozione nel vedere i propri figli emozionati e magari un po’ cresciuti, si trasforma in un vero e proprio set cinematografico.
Indubbiamente vivere a piene mani le emozioni può risultare a volte spaventoso o, perlomeno, siamo disabituati a farlo. E allora ci rassicura frapporre quell’occhio artificiale  tra il nostro sguardo di padre e di madre e la realtà della vita che ci scorre sotto gli occhi.
Quanti poi hanno la mania di fare interminabili filmini durante i loro viaggi che, quando arriva il fatidico giorno in cui sei costretto ad esserne spettatore, dentro di te ti chiedi se veramente è rimasto del tempo, a telecamera spenta, per godersi la vacanza.

Per non parlare delle riprese e delle centinaia foto durante la celebrazione di battesimi, prime comunioni, matrimoni. Del resto non è un bel ricordo da tenere nel cassetto l'otturazione del premolare del celebrante che intona il santo?
Se proprio dovessi ammorbidirmi sull' opportunità di ammettere le telecamere durante le celebrazioni quasi quasi, come scrive provocatoriamente Concita De Gregorio nel suo ultimo libro, lo farei per i funerali: occasioni in cui circolano emozioni forti, importanti, momenti in cui camuffare i sentimenti è più difficile, in cui 'si possono rimettere a posto tutte le tessere del puzzle, ricomporre la memoria' di una vita intera.
Se ancora non è accaduto è forse perché i funerali sono momenti in cui caliamo la maschera, risultiamo troppo veri e vulnerabili, non abbiamo la testa per offrire il nostro profilo migliore e dunque siamo impresentabili.

Se continueremo a stare in ogni circostanza col telefonino alzato al cielo vivremo il paradosso di voler catturare per sempre momenti mai vissuti realmente che, quando saranno riproposti, non potranno parlare della nostra storia perché noi lì non ci siamo stati con una presenza piena, saranno solo una fredda riproduzione senz’anima di fatti accaduti.

In fondo, per raccontare la storia propria e della propria famiglia ad un figlio e farne tesoro, di fotografie ne basterebbero davvero poche se solo si avesse la pazienza e la capacità de mettersi in gioco attraverso il ricordo ed il racconto delle proprie esperienze passando anche attraverso le sensazioni che abbiamo provato.

Coltivare il ricordo attraverso la narrazione dei fatti ha un valore inestimabile perché restituisce veri e propri pezzi di vita e non solo fatti.
Noi adulti abbiamo l’ arduo compito di aiutare i nostri figli ad interpretare la realtà andando oltre ciò che accade e che si vede. Non possiamo abdicare a questo onore facendo solo i cronisti. Dobbiamo metterci la musica.