mercoledì 23 ottobre 2013

Aggiungi i figli a tavola

Anni addietro la trovavo solo un’ inutile abitudine frutto dei nostri tempi, che vogliono i bambini come adulti in miniatura.

Col passare del tempo ho iniziato a coglierne l’aspetto ridicolo e un po’ ossessivo.
Oggi ritengo sia proprio una scelta profondamente sbagliata da un punto di vista relazionale  ed educativo.

Mi riferisco alla consuetudine, in ogni evento festoso più o meno formale della vita, che vede amici e parenti riunirsi in convivialità, di mettere i bambini in un tavolo a parte rispetto agli adulti.

Ho considerato, rifacendomi alla mia esperienza personale di genitore e all’ osservazione delle famiglie con bambini a me vicine, che un bambino di 7-8 anni potrebbe essere stato al tavolo insieme agli adulti in occasioni “comunitarie” non più di quattro-cinque volte, senza considerare ovviamente la primissima infanzia (anche se temo che, andando avanti così, non è lontano il tempo in cui predisporremo il tavolo dei bebè in autogestione).

Sappiamo bene che i bambini sono osservatori attentissimi, crescono e imparano molto più per imitazione dei comportamenti altrui (in primis dei genitori e dei familiari più stretti) che da quei nostri  bei discorsetti che ogni tanto gli propiniamo.
Da chi impareranno i nostri figli a rapportarsi agli altri? Chi osserveranno per acquisire modi corretti per stare a tavola senza sembrare scimmie selvatiche?

Del resto a tavola viviamo una buona parte delle nostre relazioni con parenti e amici.
Ci si ritrova, ci si racconta, si scherza, si litiga, ci si confronta, ci si spiega, ci si incontra per chiarirsi. Insomma c’è sostanza vera in quello accade intorno a un arrosto con le patate!
E allora perché privarli di un punto di osservazione così significativo? 

Li facciamo mangiare “a parte” perché  pensiamo debbano condividere le loro esperienze di vita? Vogliamo favorire lo scambio di opinioni su temi legati a istruzione o politica estera?
Ma ci siamo accorti che in realtà più bambini messi a tavola vicini spesso non parlano di niente? Bisticciano per un nonnulla tra il continuo via vai delle mamme che devono tagliare il cibo nel piatto, talvolta imboccarli, rimediare a disastri vari e sedare litigi che a volte sfociano in vere e proprie colluttazioni.

A dimostrazione del fatto che non ha senso questo loro stare insieme “a parte”, basti constatare che i pargoli non riescono a stare seduti più di tre minuti consecutivi.
Nel piatto restano inoltre gran parte delle pietanze che, troppo spesso, sono anche servite in anticipo rispetto agli altri commensali quasi si temessero malori per cali glicemici dovuti a sottoalimentazione andando così a riempire più che i loro stomaci il loro ego, dovessero mai sospettare di non essere il centro dell’universo.

Quale messaggio trasmettiamo perpetrando questa consuetudine?
Credo fermamente che non si renda alcun servizio ai bambini facendoli vivere in questa falsa espressione di libertà.
Si corre il rischio di teorizzare molto sui valori della cosiddetta famiglia tradizionale proponendo però (e alimentando), gli aspetti peggiori che purtroppo a volte la contraddistinguono e cioè confusione di ruoli, disordine e rapporti umani poco frequentati.

E pensare che per ovviare a tanto caos basterebbe compiere un semplice gesto della tradizione: mischiare intorno alla stessa tavola adulti e bambini, mettere insieme cioè le famiglie. Come si faceva una volta.


sabato 16 febbraio 2013

Dell' apertura domenicale dei negozi

Si dibatte molto sulla possibilità di riconsiderare l' apertura dei negozi nei giorni festivi, oltre che la chiusura a tarda sera nei giorni feriali. 
Non è un problema di poco conto per tutti coloro che si trovano a dover lavorare nei giorni in cui fino a qualche anno fa genitori e figli, liberi da impegni lavorativi e scolastici, potevano stare insieme, frequentare amici, godere del riposo e delle piccole e grandi gioie del giorno di Festa.
Alcune frange del mondo cattolico ne fanno addirittura una battaglia a difesa della famiglia (se ne può parlare, anche se, il nocciolo della questione non credo sia lì) e del terzo comandamento (da un prete, anni fa, ho imparato che prima di preoccuparci di santificare la Festa devo cercare di benedire l'intera mia vita, anche quella che va dal lunedì al sabato). 

Insomma, non può essere l'ultimo vagone a dare la propulsione e la direzione al treno. 

Credo infatti che se i negozi sono aperti con orario no-stop anche la domenica è perché la domenica, crisi a parte, fanno affari. E se fanno affari è perché rispondono al bisogno delle persone di fare acquisti che molto probabilmente non riescono a fare durante la settimana. Molti, infatti, rientrano a casa dal lavoro non prima delle 20.30. Tutto ciò ormai ci sembra normale. Ma non lo è. 
E' per questo che sarebbe interessante ripensare all'organizzazione della società nella sua interezza e del lavoro in particolare prima di focalizzare l'attenzione sulle serrande dei negozi. 

Mi servo di un'esperienza personale per provare a spiegarmi.

Da un paio di mesi a questa parte la vita della mia famiglia -composta da me, mio marito e un figlio di sei anni-è decisamente meno caotica di prima. I nostri ritmi sono rallentati, più conformi a quelli naturali dell' umana specie.

Prima, quando qualcosa non filava liscio, sembrava che ci abbaiassimo l'uno contro l'altro come cani rabbiosi, quasi a dover difendere le nostre ragioni con tempi "televisivi", poche battute al vetriolo e poi grande distanza emotiva. Ora abbiamo più tempo per parlare e l' onda di energia che serpeggia in ogni conflitto può prendersi lo spazio e il tempo che merita. Di questa decompressione la qualità della vita familiare ne ha indubbiamente giovato.

Uno di noi due va sempre a prendere a scuola il bambino che, di conseguenza, non è più sballottato il pomeriggio tra nonni e baby sitter. La mattina infatti ha smesso di chiedere "chi mi viene a prendere oggi?".
E, invece, quando vado io a prenderlo mi chiede: "anche oggi papà mi ha fatto la sorpresa di tornare a casa presto?" "Si, anche oggi." rispondo. "E vai!!!", esulta felice.

Le attività pomeridiane (a pagamento) a cui il bambino era iscritto si sono dimezzate, così abbiamo l'onore di passare del tempo in casa insieme per rientrare meglio in contatto tra noi dopo le troppo lunghe otto ore di tempo pieno che ormai i nostri figli sono costretti a trascorrere a scuola per ragioni che, a mio parere, nulla hanno a che fare con il loro bene.

Sarei stata orgogliosa di dire che quanto descritto è stato frutto di una nostra scelta consapevole (magari un po' "alternativa") e meditata invece tutto ciò è stato la conseguenza del fatto che mio marito, così come migliaia di altre persone in Italia, ha visto ridursi a quattro ore giornaliere l'orario di lavoro in attesa, probabilmente, che la società per cui lavora chiuda i battenti.

In mio intento non è certo fare del buonismo da quattro soldi e parlare delle opportunità che possono nascere da ogni crisi (finanche quella economica) anche perché sono innegabili le difficoltà psicologiche oltre che economiche di chi si ritrova "a spasso".

Voglio solo dire che trovo assurdo dover aspettare di subire un licenziamento per vivere una vita familiare in cui stiamo tutti più comodi e in cui la spesa la facciamo in mezzo alla settimana, di solito nel tardo pomeriggio. E la facciamo insieme.