venerdì 2 settembre 2011

Piccoli Buddha crescono


Che tu sia un fervente frequentatore  di gruppi parrocchiali o un fricchettone da centro sociale (o, magari, entrambe le cose contemporaneamente), un affermato professionista o un precario squattrinato, che tu creda fermamente nel valore della sobrietà o i tuoi usi siano eccessivi come la giacca di paillettes di un comico di avanspettacolo, molto probabilmente non farai mancare a tuo figlio, almeno una volta nella vita, una festa di compleanno 'all inclusive'.

Fino a circa una decina di anni fa una festa iniziava con l'arrivo del  primo invitato che, salutando il festeggiato, gli  porgeva un pacchetto ed aspettava, curioso, di vedere l’espressione che l’amichetto avrebbe fatto alla vista del regalo:  poteva essere uno scortese ma sincero ‘ce l’ho già’ oppure un timido  ‘grazie’  o ancora  un entusiasta ‘che figo!! Mammaaa vieni a vedereeee!!!’ o magari una faccia un po’ delusa.

Oggi no. Se sei invitato ad una festa di bambini  devi sapere che non ci sarà nulla di umano né di poetico nel gesto del dono. Per vedere scartato il tuo pacchetto dovrai, infatti, aspettare il tribale momento dello SCARTALACARTA, trionfo dell’opulenza e, al contempo, dell’istigazione all’invidia.

Il diseducativo (a mio avviso, si intende) rituale solitamente si svolge così: il festeggiato si pone più o meno al centro di un emiciclo di compagni che lo incitano ad aprire uno ad uno la montagna di pacchi che amorevolmente la mamma scodinzolante e fiera gli porge dopo aver letto sulla busta il nome del benefattore. In mancanza dell’apposizione del nome si procede con il 'riconoscimento della busta', fatto con una specie di ‘confronto all’americana’. Se vedete qualcuno che in questo momento sgattaiola verso il buffet molto probabilmente è venuto a mani vuote (ha tutta la mia stima).
Il bambino, freneticamente, mostra quanto ricevuto in dono alla platea urlante senza, ovviamente, ringraziare né aver capito bene chi sia l’artefice di questo o quel regalo.

Al termine di questo cerimoniale, come da copione, riprendono i festeggiamenti, sempre uguali negli anni e rigorosamente a pagamento: animatori dal sorriso plastificato (che tradisce spesso il desiderio di mollare quattro ceffoni ai pargoletti fuori controllo e, spesso, maleducati), che si barcamenano tra uno spettacolo di marionette, qualche magia e un po’ di  baby dance nella speranza (da parte mia) che prima o poi qualcuno decida di liberare tra i festanti frugoletti un vero alligatore che possa finalmente porre fine all’annosa questione relativa al verso del coccodrillo.

Insomma, chi di noi vorrebbe rivedere lo stesso film dieci volte in un mese? Immagino quasi nessuno. E allora perché ci sembra normale che i nostri figli frequentino feste di compleanno in cui tutto ciò che accade è già noiosamente noto ancor prima di iniziare?

Alla fine della festa, poi, i genitori del piccolo Buddha di turno cercano con fatica una soluzione per il trasporto del carico dei regali fino a casa: affittiamo un camion dei traslochi? Facciamo dieci viaggi? Ci serviamo degli sherpa? E se invece, più banalmente, chiedessimo agli invitati di non portare nulla perché nostro figlio è già pieno di giochi e vestiti,  i parenti più stretti gli hanno già fatto dei regali di tutto rispetto e poi, in fondo, sarebbe felice anche solo di fare festa in compagnia degli amichetti? E se individuassimo un oggetto che nostro figlio desidera tanto e facessimo convogliare su di esso il contributo dei partecipanti?
Insomma basta un po’ di fantasia per trovare un’alternativa al “così fan tutti” e, soprattutto, basta volerlo.

Qualcuno potrebbe reputare eccessiva la contrarietà che esprimo rispetto ai comportamenti descritti.
Il fatto è che essi, in quanto gesti sociali, sono dei segni e, come tali, sarebbe bello che fossero carichi di significato, scelti e presentati con la cura che meritano da parte delle famiglie.

Inoltre, questi modi standardizzati di agire altro non sono che una rappresentazione sintetica del modello educativo predominante oggi, tendente a generare persone autoreferenziali, incapaci di godere del ‘chi’ ma solo del ‘cosa’ e, per di più, con scarsa attitudine all’utilizzo della fantasia come risposta alle situazioni della vita. In sintesi, degli infelici.

A volte penso quanto sarebbe davvero divertente e formativa per i bambini una festa in cui anche i genitori si mettono in gioco, nel senso letterale del termine, senza bisogno di animazione a pagamento. In fondo, si sa, i piccoli imparano a comportarsi, a relazionarsi e anche a divertirsi osservando il comportamento di noi adulti, al di là dei discorsi precotti che tendiamo a fargli. E poi avrebbero finalmente qualcosa da raccontare!

Non me ne vogliano parenti, amici e conoscenti che dei criticati rituali nel tempo mi hanno fatto spettatrice. Sapete, tra i propositi che solitamente si fanno per la nuova stagione al rientro dalle ferie, quest’ anno ho messo in pole position di dire un po’ più spesso ciò che penso.