sabato 20 febbraio 2010

Perché un blog?


Da qualche giorno si è concretizzata nella mia testa l’intenzione di aprire un blog tutto mio. 
Contemporaneamente, una domanda ha echeggiato nei corridoi della mia mente: perché vuoi farlo? Da quale bisogno nasce questa voglia di mettere in vetrina i tuoi pensieri? Mi spevantava e mi metteva a disagio l’idea della mia presunzione nel ritenere che le mie riflessioni potessero essere di interesse o di spunto per altri.
Se non cambio angolatura, mi sono detta, non ne esco e chiudo prima di avere iniziato.
Poi ho pensato che in fondo non c’è nulla di deprecabile nel volersi mettere in comunicazione, e quindi in relazione, con le persone, in qualsiasi forma lo si desideri fare.
Mi fa piacere pensare a questo spazio web come a un salottino accogliente in cui degli amici si possono ritrovare a chiacchierare di fatti che gli stanno a cuore e a commentare, secondo la propria sensiblità, notizie o pensieri altrui e, se si trovano a loro agio, possono portare anche altri amici. Che saranno i benvenuti.
E poi ho pensato alla magia e alle componenti della comunicazione e mi è tornato in mente uno scritto di Albert Mehrabian, psicologo statunitense studioso della comunicazione non verbale il quale ha dimostrato che solo il 7% del significato viene veicolato dalle parole pronunciate, mentre il 38% di esso viene comunicato attraverso la tonalità in cui vengono espresse, e il restante 55% non ha nulla a che vedere con le parole, bensì con la fisiologia. Il silenzio, uno sguardo, la postura, le smorfie del volto o il modo di respirare, l’abbigliamento o il profumo usato sono aspetti che "parlano" per noi e manifestano il nostro modo d’essere, l’universo dei nostri stati d’animo, ancor più delle nostre parole.
Credo proprio che sia plausibile che le proporzioni siano queste. Tutto ciò mi affascina ma mi risulta anche un po’ spaventoso. Il 93% di ciò che comunico sfugge in qualche modo al mio controllo e per chi come me (ma penso di essere in buona compagnia) è alla continua ricerca di un equilibrio tra il lasciar fluire liberamente il proprio essere e  tenere sotto controllo il piccolo mondo che ci circonda per vivere di rassicurazioni ingannevoli, non è per niente facile da accettare.
E allora mi sono convertita alle parole scritte, che posso leggere e rileggere, modificare e sistemare, corregere e ponderare illudendomi di ridurre al minimo la possibilità di essere fraintesa o di non essere ascoltata dal mio interlocutore di turno che, altrimenti, potrebbe essere troppo distratto dai miei vestiti, dal mio respiro o dal mio profumo…
La cosa che più mi manca, però, è il tè con i pasticcini.