domenica 3 ottobre 2010

No limits

Nel blu profondo e L'ultimo abbraccio della montagna, due libri, due belle storie d'amore, due epiloghi tristi, due sport tanto diversi ma tanto uguali, due morti annunciate. Ma una sola grande passione: la spinta verso l'estremo delle capacità umane, la voglia di  percorrere strade non ancora battute. 

Pipin Ferreras, cubano, campione mondiale di apnea, descrive con grande dolcezza l'amore tra lui e sua moglie Audrey, vissuto nella condivisione, ai limiti dell'ossessione, per il mare e le sue profondità, per l'apnea e per la  spinta a superare i record mondiali anche da loro stessi stabiliti. E proprio per tentare l'ultimo record Audrey trova la morte.
"Per noi l'apnea non era solo un mezzo per guadagnarci da vivere, ma un vero e proprio modo di vivere. Audrey la definiva un'esperienza extracorporea, perché, diceva, scendendo negli abissi dimenticava di essere una creatura umana fatta di carne, ossa e sangue. Quando si immergeva si sentiva energia pura: una sorgente di luce".  
E ancora: "Audrey e io eravamo molto felici nell'azzurro, silenzioso, mistico mondo sottomarino. Eravamo nati e cresciuti ai capi opposti del mondo, in paesi lontani migliaia di chilometri, ma entrambi avevamo maturato molto presto un insolito, tenace amore per il mare. Quell'amore era divenuto sempre più forte e, negli anni a venire, sarebbe aumentato ancora di più. Subito prima di immergerci, quando ci saturavamo di ossigeno iperventilando, ci sentivamo in certo modo più vicini al nostro vero io. (...) Sarei poco sincero se non ammettessi che nell'esperienza c'era anche un elemento di dipendenza. "A volte è un peccato risalire" diceva Audrey, e capivo benissimo che cosa intendesse dire".


E poi c'è Silke Unterkircher che nel suo libro racconta l'incontenibile passione del compagno Karl, padre sei suoi tre figli,  per l'alpinismo e, in particolare, per la scoperta di vie nuove per la salita. 
Proprio il tentativo di aprire una via non ancora battuta su una delle pareti più pericolose del Nanga Parbat (la nona montagna più alta della Terra nella catena dell' Himalaya) gli è stato fatale nel luglio 2008.
"Karl amava soprattutto cercare vie esclusive, mettersi alla prova dove nessuno era mai passato. Le salite in libera sulle vie tracciate in artificiale non facevano per lui. Era invece uno di quegli alpinisti che sanno intuire, là dove altri non vedono nulla. Uno capace di lanciarsi sempre in nuove varianti".


Leggendo questo testo non è possibile non lasciarsi stupire dallo sguardo di comprensione con cui Silke accoglie la realtà del suo compagno, come si accolgono il colore dei suoi capelli e il modo di sorridere.
"Sapeva, anzi sapevamo, i pericoli cui stava andando incontro. Adesso non posso più stringerlo a me, lo so. Ma non mi sono mai pentita di averlo lasciato andare". 
Chi di noi mogli borbotta in vista della partita settimanale di calcetto del marito dovrebbe leggerlo assolutamente.


Un passione condivisa nelle viscere e una passione compresa con la testa e con il cuore. Due discipline e due vicende umane che fino a poco tempo fa avrei definito incomprensibili, frutto dell'incoscienza e del poco rispetto per la vita. Ho letto i libri. Non la penso più così.

4 commenti:

  1. ok... mi hai convinto... ve devo "fregà" anche st'altro libro sulla montagna...

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  2. Purtroppo, proprio nel giorno in cui ho pubblicato questo post è morto sul monte Cho Oyu (Nepal) Walter Nones, compagno di avventure di Karl Unterkircher, presente alla spedizione in cui l'amico perse la vita nel 2008. Ora la stessa sorte è toccata a lui. Tanti gli interrogativi...Karl aveva trovato la sua risposta: "Non sono gli scalatori a cercare il rischio, è la montagna che chiama".

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  3. Cari Alessandro e Simone, non è che vi ha stuzzicato solo quel passaggio populista sulla partita di calcetto????
    ;-)

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