Anni
addietro la trovavo solo un’ inutile abitudine frutto dei nostri tempi, che
vogliono i bambini come adulti in miniatura.
Col
passare del tempo ho iniziato a coglierne l’aspetto ridicolo e un po’ ossessivo.
Oggi
ritengo sia proprio una scelta profondamente sbagliata da un punto di vista
relazionale ed educativo.
Mi
riferisco alla consuetudine, in ogni evento festoso più o meno formale della
vita, che vede amici e parenti riunirsi in convivialità, di mettere i bambini
in un tavolo a parte rispetto agli adulti.
Ho
considerato, rifacendomi alla mia esperienza personale di genitore e
all’ osservazione delle famiglie con bambini a me vicine, che un bambino di 7-8
anni potrebbe essere stato al tavolo insieme agli adulti in occasioni
“comunitarie” non più di quattro-cinque volte, senza considerare ovviamente la
primissima infanzia (anche se temo che, andando avanti così, non è lontano il
tempo in cui predisporremo il tavolo dei bebè in autogestione).
Sappiamo
bene che i bambini sono osservatori attentissimi, crescono e imparano molto più
per imitazione dei comportamenti altrui (in primis dei genitori e dei familiari
più stretti) che da quei nostri bei discorsetti che ogni tanto gli
propiniamo.
Da chi
impareranno i nostri figli a rapportarsi agli altri? Chi osserveranno per
acquisire modi corretti per stare a tavola senza sembrare scimmie selvatiche?
Del resto
a tavola viviamo una buona parte delle nostre relazioni con parenti e amici.
Ci si
ritrova, ci si racconta, si scherza, si litiga, ci si confronta, ci si spiega,
ci si incontra per chiarirsi. Insomma c’è sostanza vera in quello accade
intorno a un arrosto con le patate!
E allora
perché privarli di un punto di osservazione così significativo?
Li
facciamo mangiare “a parte” perché pensiamo debbano condividere le loro
esperienze di vita? Vogliamo favorire lo scambio di opinioni su temi legati a
istruzione o politica estera?
Ma ci
siamo accorti che in realtà più bambini messi a tavola vicini spesso non parlano
di niente? Bisticciano per un nonnulla tra il continuo via vai delle mamme che
devono tagliare il cibo nel piatto, talvolta imboccarli, rimediare a disastri
vari e sedare litigi che a volte sfociano in vere e proprie colluttazioni.
A
dimostrazione del fatto che non ha senso questo loro stare insieme “a parte”,
basti constatare che i pargoli non riescono a stare seduti più di tre minuti
consecutivi.
Nel
piatto restano inoltre gran parte delle pietanze che, troppo spesso, sono anche
servite in anticipo rispetto agli altri commensali quasi si temessero malori
per cali glicemici dovuti a sottoalimentazione andando così a riempire più che
i loro stomaci il loro ego, dovessero mai sospettare di non essere il centro
dell’universo.
Quale
messaggio trasmettiamo perpetrando questa consuetudine?
Credo
fermamente che non si renda alcun servizio ai bambini facendoli vivere in
questa falsa espressione di libertà.
Si corre il rischio di teorizzare molto sui valori della cosiddetta famiglia
tradizionale proponendo però (e alimentando), gli aspetti peggiori che
purtroppo a volte la contraddistinguono e cioè confusione di ruoli, disordine e
rapporti umani poco frequentati.
E pensare
che per ovviare a tanto caos basterebbe compiere un semplice gesto della
tradizione: mischiare intorno alla stessa tavola adulti e bambini, mettere
insieme cioè le famiglie. Come si faceva una volta.