mercoledì 20 giugno 2012

Professione: reporter


Dagli Usa la nuova tendenza per i neo genitori di regalarsi un vero e proprio book fotografico professionale che dall’attesa ripercorre i momenti salienti della vita nascente (ecografie incluse) fino a ritrarre nonni e amici dai volti tesi nella sala d’aspetto dell’ospedale per arrivare poi fin dentro la sala parto e non farsi mancare di immortalare la gestante nelle più dolorose fasi del travaglio.

Molti di noi leggendo la notizia avranno pensato alla solita “americanata” e forse l’ho pensato anche io. Effettivamente, qualcuno può forse affermare che avere la foto della propria madre ritratta nella fase della massima dilatazione uterina avrebbe aggiunto qualcosa alla ricostruzione della propria identità personale?  Credo proprio di no. Eppure sono convinta che ben presto abbracceremo anche in Italia questa morbosa abitudine visto che, a pensarci bene, siamo già sulla buona strada.

Complici forse anche i social network, che ci hanno abituato a collocarci in una vetrina perpetua, sembra che siamo tutti più impegnati a mostrarci e a mostrare che a vivere, continuamente  alla ricerca delle “pezze d’appoggio” per attestare di aver fatto cose e percorso le tappe cruciali della nostra vita.

Basti pensare al comportamento della maggior parte di noi genitori alle recite di fine anno dei nostri figli: quello che dovrebbe essere un piccolo teatrino di una scuola elementare, in cui ciascuno potrebbe contattare la commozione nel vedere i propri figli emozionati e magari un po’ cresciuti, si trasforma in un vero e proprio set cinematografico.
Indubbiamente vivere a piene mani le emozioni può risultare a volte spaventoso o, perlomeno, siamo disabituati a farlo. E allora ci rassicura frapporre quell’occhio artificiale  tra il nostro sguardo di padre e di madre e la realtà della vita che ci scorre sotto gli occhi.
Quanti poi hanno la mania di fare interminabili filmini durante i loro viaggi che, quando arriva il fatidico giorno in cui sei costretto ad esserne spettatore, dentro di te ti chiedi se veramente è rimasto del tempo, a telecamera spenta, per godersi la vacanza.

Per non parlare delle riprese e delle centinaia foto durante la celebrazione di battesimi, prime comunioni, matrimoni. Del resto non è un bel ricordo da tenere nel cassetto l'otturazione del premolare del celebrante che intona il santo?
Se proprio dovessi ammorbidirmi sull' opportunità di ammettere le telecamere durante le celebrazioni quasi quasi, come scrive provocatoriamente Concita De Gregorio nel suo ultimo libro, lo farei per i funerali: occasioni in cui circolano emozioni forti, importanti, momenti in cui camuffare i sentimenti è più difficile, in cui 'si possono rimettere a posto tutte le tessere del puzzle, ricomporre la memoria' di una vita intera.
Se ancora non è accaduto è forse perché i funerali sono momenti in cui caliamo la maschera, risultiamo troppo veri e vulnerabili, non abbiamo la testa per offrire il nostro profilo migliore e dunque siamo impresentabili.

Se continueremo a stare in ogni circostanza col telefonino alzato al cielo vivremo il paradosso di voler catturare per sempre momenti mai vissuti realmente che, quando saranno riproposti, non potranno parlare della nostra storia perché noi lì non ci siamo stati con una presenza piena, saranno solo una fredda riproduzione senz’anima di fatti accaduti.

In fondo, per raccontare la storia propria e della propria famiglia ad un figlio e farne tesoro, di fotografie ne basterebbero davvero poche se solo si avesse la pazienza e la capacità de mettersi in gioco attraverso il ricordo ed il racconto delle proprie esperienze passando anche attraverso le sensazioni che abbiamo provato.

Coltivare il ricordo attraverso la narrazione dei fatti ha un valore inestimabile perché restituisce veri e propri pezzi di vita e non solo fatti.
Noi adulti abbiamo l’ arduo compito di aiutare i nostri figli ad interpretare la realtà andando oltre ciò che accade e che si vede. Non possiamo abdicare a questo onore facendo solo i cronisti. Dobbiamo metterci la musica.

1 commento:

  1. faccio un commento un po' cervellotico e trasversale perché apri un riflessione ampia.
    Spero si intenda.

    E se mia mamma non mi avesse mai consegnato quella lettera in cui mi scrive cose che non mi ha mai detto (anche di lei) e io non l'avessi conservata, chi potrebbe oggi, con la narrazione, ridirmi o farmi sapere le stesse cose?

    Potremmo (nell'era 2.0) un giorno dire la stessa cosa di una foto insignificante o di un video malfatto postato una volta su qualche social network? E rimpiangere di non averlo salvato o di aver inibito l'autore a condividerlo?

    Sono domande assolutamente aperte.

    p.s. biografico: esco da una recita scolastica di fine anno, un funerale e un'altra recita scolastica, nell'ordine. Non amo fare tante foto. Tanto meno i filmini.

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