sabato 16 febbraio 2013

Dell' apertura domenicale dei negozi

Si dibatte molto sulla possibilità di riconsiderare l' apertura dei negozi nei giorni festivi, oltre che la chiusura a tarda sera nei giorni feriali. 
Non è un problema di poco conto per tutti coloro che si trovano a dover lavorare nei giorni in cui fino a qualche anno fa genitori e figli, liberi da impegni lavorativi e scolastici, potevano stare insieme, frequentare amici, godere del riposo e delle piccole e grandi gioie del giorno di Festa.
Alcune frange del mondo cattolico ne fanno addirittura una battaglia a difesa della famiglia (se ne può parlare, anche se, il nocciolo della questione non credo sia lì) e del terzo comandamento (da un prete, anni fa, ho imparato che prima di preoccuparci di santificare la Festa devo cercare di benedire l'intera mia vita, anche quella che va dal lunedì al sabato). 

Insomma, non può essere l'ultimo vagone a dare la propulsione e la direzione al treno. 

Credo infatti che se i negozi sono aperti con orario no-stop anche la domenica è perché la domenica, crisi a parte, fanno affari. E se fanno affari è perché rispondono al bisogno delle persone di fare acquisti che molto probabilmente non riescono a fare durante la settimana. Molti, infatti, rientrano a casa dal lavoro non prima delle 20.30. Tutto ciò ormai ci sembra normale. Ma non lo è. 
E' per questo che sarebbe interessante ripensare all'organizzazione della società nella sua interezza e del lavoro in particolare prima di focalizzare l'attenzione sulle serrande dei negozi. 

Mi servo di un'esperienza personale per provare a spiegarmi.

Da un paio di mesi a questa parte la vita della mia famiglia -composta da me, mio marito e un figlio di sei anni-è decisamente meno caotica di prima. I nostri ritmi sono rallentati, più conformi a quelli naturali dell' umana specie.

Prima, quando qualcosa non filava liscio, sembrava che ci abbaiassimo l'uno contro l'altro come cani rabbiosi, quasi a dover difendere le nostre ragioni con tempi "televisivi", poche battute al vetriolo e poi grande distanza emotiva. Ora abbiamo più tempo per parlare e l' onda di energia che serpeggia in ogni conflitto può prendersi lo spazio e il tempo che merita. Di questa decompressione la qualità della vita familiare ne ha indubbiamente giovato.

Uno di noi due va sempre a prendere a scuola il bambino che, di conseguenza, non è più sballottato il pomeriggio tra nonni e baby sitter. La mattina infatti ha smesso di chiedere "chi mi viene a prendere oggi?".
E, invece, quando vado io a prenderlo mi chiede: "anche oggi papà mi ha fatto la sorpresa di tornare a casa presto?" "Si, anche oggi." rispondo. "E vai!!!", esulta felice.

Le attività pomeridiane (a pagamento) a cui il bambino era iscritto si sono dimezzate, così abbiamo l'onore di passare del tempo in casa insieme per rientrare meglio in contatto tra noi dopo le troppo lunghe otto ore di tempo pieno che ormai i nostri figli sono costretti a trascorrere a scuola per ragioni che, a mio parere, nulla hanno a che fare con il loro bene.

Sarei stata orgogliosa di dire che quanto descritto è stato frutto di una nostra scelta consapevole (magari un po' "alternativa") e meditata invece tutto ciò è stato la conseguenza del fatto che mio marito, così come migliaia di altre persone in Italia, ha visto ridursi a quattro ore giornaliere l'orario di lavoro in attesa, probabilmente, che la società per cui lavora chiuda i battenti.

In mio intento non è certo fare del buonismo da quattro soldi e parlare delle opportunità che possono nascere da ogni crisi (finanche quella economica) anche perché sono innegabili le difficoltà psicologiche oltre che economiche di chi si ritrova "a spasso".

Voglio solo dire che trovo assurdo dover aspettare di subire un licenziamento per vivere una vita familiare in cui stiamo tutti più comodi e in cui la spesa la facciamo in mezzo alla settimana, di solito nel tardo pomeriggio. E la facciamo insieme.

2 commenti:

  1. Lettura interessante, ma non la condivido poi tanto.
    Ho provato anche io a confrontarmi con il tema della domenica. Il punto è che avere un giorno di festa qualsiasi a settimana, e averne uno che invece rispettano (quasi tutti) non è esattamente la stessa cosa.
    Proprio il primo maggio scoprivo un passaggio interessante, e nientaffatto banale in un libro molto noto ma poco letto: ovvero contro la schiavitù del lavoro e il culto del denaro.

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  2. Grazie Fabrizio per il tuo commento. Ho letto il post che hai segnalato, concordo con il contenuto. Ho fatto anche "un giro" nel tuo blog...
    Mi farebbe piacere, ai fini di un confronto, sapere meglio cosa del mio scritto non condividi. Quello che intendevo, infatti, non mi sembra così in contrasto con quello che mi hai segnalato tu. Anche io credo che sarebbe importante un giorno della settimana che sia festivo per tutti e, per arrivare a questo obiettivo, credo si debba passare per un ridimensionamento e una riorganizzazione della giornata lavorativa nei giorni feriali che lasci anche durante la settimana lo spazio per assolvere alle incombenze pratiche della vita familiare cosicché non si debba più ritenere indispensabile l'apertura, ad esempio, dei supermercati la domenica.

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